Ci sono dei
rituali domenicali a cui ormai non mi sottraggo e questo non per pigrizia o
banale abitudine, ma perché si sono sedimentati ed affinati a tal punto nel
corso di questi ultimi mesi, che riempiono piacevolmente la mia domenica
mattina. Consuetudini che mi liberano dallo stress della quotidianità
lavorativa e dal logorio di questa realtà fatta di velocità, maleducazione,
arroganza e presunzione, aiutandomi nello stesso tempo a ricaricare la mia
batteria interna, in vista della settimana che poi dovrò affrontare.
La sveglia è
immobile e silenziosa, la colazione esclusivamente al solito bar, le telefonate
irrinunciabili quelle che fanno bene al cuore, la passeggiata sul lungomare ed
infine l’aperitivo sempre allo stesso bar, quando la mia solitudine lascia il
passo ad una speciale compagnia. In questo inverno che si è travestito da
primavera, mi godo così ogni volta queste repliche settimanali di quanto già
avvenuto soltanto sette giorni prima, perché ogni volta tutto si rinnova, tutto
è diverso, sembrando soltanto lontanamente qualcosa di già accaduto.
Ecco, la
bellezza che ritrovo in questi gesti, consiste sostanzialmente nel fatto, che
seppure sembrano soltanto dei dejà vù, essi riescono a vestirsi sempre di nuove
emozioni, regalandomi sorrisi diversi da quelli già vissuti, così che tutto si
trasforma in qualcosa di mai provato in precedenza. Una cosa che somiglia
soltanto lontanamente a ciò che già c’è stato. A volte basta poco, un sorriso
di un bambino che muove i primi passi, una coppia di ragazzi distesi al sole a
godersi queste splendide temperature o anche un pallone rincorso da dei
ragazzini, semplici momenti di vita altrui, che rasserenano anche la mia.
Vivo così, con
un sapore diverso, anche le azioni più banali, quelle che ripetiamo ormai quasi
senza accorgercene, come i passi, quelli messi in fila uno dopo l’altro, perché
la sostanza di quelle passeggiate cambia quando finalmente realizzi che la
domenica i passi si godono con piacere e calma, guardandosi intorno, vedendo le
persone, scrutandole, osservandole e non solo per vederle e quindi scansarle,
come facciamo di solito quando il nostro solo obiettivo è raggiungere chissà quale
meta inutile, no vederle per conoscerle o anche solo poi riconoscerle in
futuro, avere il tempo di fermare delle persone nella mia memoria e non vedere
tutti gli altri come delle sagome che occupano uno spazio.
Ho anche avuto
il modo di riscoprire il piacere di percepire sotto la suola delle scarpe la
sabbia di quella spiaggia, dove chissà come e chissà perché giungo ogni volta,
come se la voce di Leucosia o Ligea mi attraessero inconsciamente sin lì.
Perché questo inverno anomalo, figlio del cambiamento climatico, ha aumentato a
dismisura il numero di domeniche soleggiate e diventa naturale avere come meta
gli scogli o la battigia del mio
litorale e sono così molte di più le volte che incontro qualche ragazzo disteso
al sole ad abbronzarsi, che quelle in cui vedo gente ripararsi con un ombrello.
Ed infine non
sto qui a raccontare della mia ultima “ossessione”
i campari spritz con stuzzichini, quelli che ogni volta mi sembrano troppo
pochi e tutte le volte penso che forse era il caso di andare in quell’altro bar,
si l’altro bar, quello lì, quello dove servono anche qualche salume o dei
rustici più freschi sul tagliere, ma poi immancabilmente ricordo che questa è
soltanto una leggenda metropolitana, eventi che chissà perché accadono agli
altri tutte le volte però non ci vado io a quanto pare, visto che quando per
qualche casualità davvero cambio, me ne pento immediatamente o immancabilmente?
Entrambe, decisamente entrambe.
La verità, la
mia verità, è quindi da ricercarsi nel fatto che a me probabilmente basta poco
per emozionarmi ed anche nella routine riesco a trovare delle ragioni per
divertirmi o per rasserenarmi quel tanto che basta che la domenica mi riesca a
ricongiungere con la parte più serena della mia anima, donandomi nuova linfa e
la voglia di vivere una nuova settimana, riappropriarmi così del valore del
tempo libero.
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