Saranno stati scogli di carbone dolce
dentro il ferro liquefatto
di una luna che squagliò un suo quarto
come un brivido mulatto
o un bianco volar via di cuori pescatori
acqua secca d'un bel cielo astratto
Chissà se c'erano satelliti o comete
in un'alba senza rughe
larghe nuvole di muffa e olio
appaiate come acciughe
o una vertigine di spiccioli di pesce
nella luce nera di lattughe
e io.
Dal mare venni e amare mi stremò
perchè infiammare il mare non si può.
Aveva forse nervi e fruste di uragani
scure anime profonde
tra le vertebre di vetro e schiuma
urla di leoni e onde
o tende di merletto chiuse su farine
corpi caldi di sirene bionde.
Forse era morto senza vento nei polmoni
graffio di cemento bruno
barche stelle insonni a ramazzare
nelle stanze di Nettuno
o turbini di sabbia tra le dune calve
sulle orme perse di qualcuno
e io.
Dal mare ho il sangue amaro rimarrò
perchè calmare il mare non si può
i miei si amarono laggiù.
In un agosto e un altro sole si annegò
lingue di fuoco e uva fragole
quando il giorno cammina ancora
sulle tegole del cielo
e sembra non sedersi mai.
E innanzi al mare ad ansimare sto
perchè domare il mare non si può
e come pietra annerirò.
A consumare catramare
tracimare a fiumare
a schiumare a chiamare
quel mare che fu madre che non so.
SAKINEH NON DEVE MORIRE
bella! mi fa pensare proprio ad un uomo che viene dal mare... che da esso cerca di trarne energia...un mare prima calmo e poi indomabile! forse ti assomiglia un po' come immagine?
RispondiEliminaFrequenti questo blog da poco, ma ho spesso scritto di essere acqua, di essere figlio del mare e di nutrirmi della sua stessa essenza per vivere.
RispondiEliminaNon so se sono paragonabile ad esso, ma sono certo di avere dentro le stesse profondità.
Grazie, la tua presenza qui sull'isola, mi inorgoglisce