PRIMA PUBBLICAZIONE NOVEMBRE 2010
L'Inter attacca e segna, si porta così in parità con la juve, siamo sull' uno a uno, <<maledizione, mi sa che gli interisti mi saranno antipatici per sempre>>.
Nemmeno il tempo di terminare mentalmente questo pensiero e la luce, come spesso accade va via. Istintivamente mi affaccio alla finestra più vicina, cerco come sempre la luce, il buio mi da fastidio, crea in me una sensazione di claustrofobia che mi attanaglia.
Un rumore sordo invade l'aria, tutto trema, il palazzo di fronte ondeggia, sussulta e ho l'impressione che si inclini. Calcinacci cadono ovunque, urla di gente impaurita da ogni dove, il terrore si taglia a fette.
Scappo e raggiungo i miei, ero l'ultimo rimasto in casa, inconsapevole di aver vissuto, visto con i miei occhi unl terremoto.
Questi sono i ricordi nitidi di tutto ciò che successe a cavallo delle 19.34 di quella domenica di Novembre di trent'anni fà.
Adesso come allora li ho ancora davanti agli occhi e sono il momento esatto in cui smetto di essere bimbo e divento ragazzo, perché tutto quello che viene dopo, nei giorni, le ore, i mesi, gli anni successivi, in qualche modo avrà questo marchio impresso a fuoco e verrà richiamato in vario modo nella memoria non solo mia, ma di intere generazioni di lucani e di campani.
Quello è stato uno spartiacque della mia vita e anche se la mia Salerno fu toccata, fortunatamente, solo di striscio da quell'evento, tutto dopo diventò difficile.
La mia vita scolastica diventò precaria, perchè non solo nell'immediato mancò tutto ciò che potesse servire a superare l'emergenza.
Le amicizie negli anni a venire poi fecero sempre i conti con i morti che le nuove conoscenze "piangevano".
Anche il mio lavoro mi porterà con il passare del tempo al centro delle ricostruzione e se in quei momenti prendevo coscienza del fatto che nei secoli precedenti si costruiva male (erano poche le conoscenze tecniche), con il passare del tempo si è fatta forte la consapevolezza che se è possibile oggi si fa addirittura peggio a causa della pressapochezza dei nostri tecnici.
I giorni immediatamente successivi furono terribili, mancava davvero tutto, anche la coscienza del fatto che ci fossero degli aiuti da qualche parte. La sola fortuna che avemmo era il tempo che si mantenne "primaverile" e ci consentì di vivere serenamente le prime notti all'addiaccio.
Solo dopo una settimana tutti rientrammo nelle abitazioni, che seppure lesionate e al limite del vivibile erano comunque calde, fermo restando che la soglia di attenzione era altissima e le scosse di assestamento erano terribili.
Il "nostro terremoto", quello di trent'anni fa, ha dato il via a quella macchina abbastanza efficiente che è la "Protezione Civile", che solo il genio italico poteva poi trasformare in una sorta di cabina di regia per affari loschi, ma che onestamente in caso di calamità adesso sa come muoversi.
Noi all'epoca improvisammo tutto ed era forte un sentimento di sostegno reciproco che sempre viene fuori in questi casi.
Anche "la rinascita" ha per me una data precisa, la successiva notte della vigilia di Natale. Non ricordo di aver visto mai più così piena la chiesa di Via Madonna di Fatima a Salerno, con una partecipazione emotiva della folla presente che era tangibile.
Credo fosse la mia prima funzione da chierichetto in una celebrazione importante e dall'altare quella chiesa così gremita era impressionante. Per darvi un'idea, la parrocchia all'epoca contava 15.000 persone e di quelle almeno 3.000 o forse più erano stipate lì dentro. Per certo posso affermate che mai più mio padre partecipò di sua spontanea volontà ad un'altra messa.
Quella notte, col senno di poi, posso affermare che lì successe davvero qualcosa di magico, Don Andrea infuse speranza in tutti noi, lo spirito del vero natale era lì.
L'augurio che mi rivolgo oggi, in questo decennale, è quello di non dover mai più vivere qualcosa di simile, perché vivo la consapevolezza che Salerno potrebbe fare la stessa fine de L'Aquila e questo davvero sarebbe un dolore insopportabile.
SAKINEH NON DEVE MORIRE
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